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Premio musicale "Amici di Pavi per l'ITIS M. Curie" 2006/2007 - Testi

Nota per il lettore

Ogni composizione è accompagnata da una brevissima analisi della parte nascosta, inconsapevole, del testo; una chiave di lettura non voluta e non prevista dall'autore del brano poetico (poesia, prosa o canzone).

Avendo cercato l'appiglio per un po' di ironia, i commenti risultano più un'irriverente e scherzosa “critica psico-letteraria” che un giudizio di merito, positivamente implicito nel fatto stesso di aver creato con passione, di essersi messi in gioco.

Insomma, non sono valutazioni, sono spunti un po' scanzonati e qualche volta provocatori.
Sono impressioni cercate nelle pieghe della sintesi poetica, finalizzata a suscitare sensazioni ed emozioni senza poterle spiegare.
E' l'impossibilità razionale della poetica che dà l'estro alla sua dissacrazione.

Agli autori dei testi: quanto sopra è una spiegazione doverosa; in fondo sono i vostri lavori ad essere stati reinterpretati e analizzati in chiave, anche e forse, inattesa.

Piccoli pensieri di un nuovo vagabondo

di Stefano Quinteri

Muto tenore di vita
canto con acuti e stecche
grazie alla mia penna invisibile.
Canto le gioie i dolori
le disgrazie e le pazzie
della vita passata
e di quella futura
vagabondo di una landa desolata e polverosa
che attraverso da tempo immemore
in cui mi ritroverete
con un sorriso felice ed eterno.
Pazzo non sono
ma alla fine cos'è la pazzia
se non la normalità e la monotonia
frustrato e ammaliato dai pensieri
miei e di altri
destinato a un continuo punto di domanda
senza mai né risposta né fine.
solco questa foglia
con parole infuocate
che hanno marchiato tutto nel profondo
e che caratterizzano la vita quotidiana di ognuno.
abbi pietà di me
e lasciami cantare ancora un po'
con l'unica voce che mi è stata data...
il silenzio.

Commento

Un cantastorie vagabondo che canta la vita, quella passata e quella futura. Perché non anche quella presente? forse perché c'è meno poesia nella quotidiana fatica di vivere?

La “landa desolata e polverosa” attraversata da sempre fa un po' pensare al deserto del pastorello errante per l'Asia di Leopardi; anche il piccolo filosofeggiare del vagabondo assomiglia alle meditazioni del pastorello che, in fondo, sulle questioni universali della vita ne sa quanto il Filosofo.

Non è chiaro se il cantastorie è un muto tenore di vita, che quindi non canterà, o vuole mutare tenore di vita, si suppone come tutti, in meglio.

Sono qua, ma non posso

di Prema MD Alagmir Kamrun

Io sono sempre qua
da anni e oltre
da quando il casolare
sorse
di fianco al viale.
Sono qua, in mezzo a due muri,
oltre di me
c'è il fuori.
Sì, sono sempre qua
di fronte a me
una maestosa creatura
mi fissa, si lancia,
mi graffia, mi tortura,
incessantemente...
si arrende.
Sono sempre qua
e ogni giorno la stessa storia.
io so cosa vuole ma, ahimè
non dipende da me.
Il gatto che mi graffia
vuole ottenerla.
Tutti la vorrebbero
molti ne soffrirebbero,
la libertà.
Io, che sono solo una porta,
non posso donarla.

Commento

Bella questa immagine della porta che c'è ma non può; non può far uscire chi vorrebbe affrontare il mondo, perché è chiusa.

Ma la porta è chiusa per costrizione o per protezione? non abbiamo elementi per giudicare la costrizione; ma l'eccesso di protezione è dannoso: anche un gatto ha diritto di confrontarsi con la vita.

Comunque, gli americani hanno da decenni inventato e adottato, all'interno delle loro porte, la botola basculante per cani e gatti. Si vede in ogni cartone animato (non in quelli giapponesi; in quelli, americani, di una volta); la chiamano cat door o più genericamente pet door.

Perché, in America, anche una porta può.

Delle cave e del parco

di Emiliano Salvi

Solo, vagando per il parco lo stesso
nel quale io spesso racchiudo
ciò che provo dentro me
rasserenato da sempre presente melodia,
vado pensando.

Ed il pensiero mio doloroso si fa
riguardo tutto ciò che fuori non mostro
dalle paure ai miei sogni infranti
fino all'inconscio comprender della crudeltà
della nostra umana natura.

Ma se io penso al naturale nostro dolor,
alla limpida apparizione d'una cava
di cui la superficie d'acqua mi abbaglia
alla mente l'immagin mi viene d'una sola ragazza
tale ninfa che ai miei occhi appare
e d'improvviso, pensando anche
ai bei momenti che fra me e lei
potrebbero esser, ovunque mi volti
vedo la grandiosa bellezza della natura
che passivamente mi protegge e circonda.

E tornando lo sguardo alla cava brillante,
sorridendo, penso alla stranezza
della nostra natura umana.

Commento

Un innamorato.
Forse anche solo dell'immagine della donna ideale: Beatrice? Silvia?

Un distillato di malinconia, di incertezze e di fragilità adolescenziali.

Un amore che vince, con la superbia dell'innamorato, l'universalità del dolore umano.
Il primo amore non si scorda mai; ma, se non funziona, poi ne vengono altri.

La “stranezza della nostra natura umana” sta anche nell'ammirazione estatica ed estetica di una cava di ghiaia.

Silenzio

di Desireè Colnago

“Silenzio. Quello che resta
quando finisce qualcosa. Un film
che ti è piaciuto, ad
esempio. I titoli di coda si
portano via il sapore della
storia che hai appena vissuto;
magari sognando coi protagonisti.
Una lacrima ostinata non
si è decisa a cadere ed ora
resta lì, in bilico e
quella pellicola non
se la porterà via. Tu provi
a nasconderla agli amici
seduti accanto a te e non
ti accorgi che anche loro
stanno facendo altrettanto;
solo che nessuno vuole ammetterlo.
Tra poco arriverà l'ultima
parola: “Fine”. Quella che non
avresti voluto perché non
pensi che mai che le cose belle
debbano finire; eppure accade.
Però non dimenticare: film
da vedere, al mondo, ce ne
saranno sempre e cose belle,
da vivere, ancora di più.”

Commento

Ma è la pubblicità dell'ANIC-AGIS: andate al cinema.

Il testo coglie bene l'attimo di massima emozione, di pienezza, che c'è alla fine di un bel film, anche quando la lacrima non è richiesta.
E forse questo momento di stasi emozionale fa la differenza fra un film e un grande film.

Non è però che tutti i film che danno emozioni fanno piangere lo spettatore.
Ci sono grandi film che non inducono alla lacrima, nemmeno di nascosto.

E' vero, il mondo va sempre avanti; seguiamolo!

Il tuo mondo

di Desireè Colnago

“Il pennello ed i colori
sono nelle tue mani:
ora dipingi il tuo mondo
e non aspettare che
qualcun'altro lo faccia
per te perché solo così
tutto avrà un senso,
solo così potrai addormentarti
sapendo di non aver sprecato
la tua giornata.”

Commento

Una vita colorata. Dipende solo da te.

Una guida poetica al vivere con consapevolezza.

Quasi mai, però, persone che con il pennello e coi colori ci sapevano fare hanno avuto una vita felice. Intensa sì, ma non serena. Come si dice: una vita d'artista, nel senso di una vita squinternata e da fame.
Il famoso Van Gogh e, recente e meno noto, Ligabue: vita di stenti, fuori di testa, hanno seguito la loro passione fino in fondo.

Loro hanno deciso come vivere. O sono stati costretti dalla passione?

Medicina dell'anima

di Francesca Lazzaroni

Medicina= sostanza che presa nelle giuste dosi ti solleva da un dolore fisico o psichico di cui sei momentaneamente afflitto.
è dura.... Voler vivere la vita degli altri!
Camminavo per la mia città, Milano, e una macchia di persone affollava piazza del Duomo, persone con in faccia stampato un sorriso, persone che nella borsa, nel portafoglio, nel taschino della giacca, si tenevano stretta la propria medicina.
Una domanda mi ha accompagnato per tutta la giornata: cosa sanno loro che io non so? Cosa ha dato la vita a loro che a me ha rifiutato?
Prendo posto in un piccolo bar del centro, spengo il cellulare, non voglio essere disturbata, ordino una coca senza ghiaccio e decido di osservare ogni singolo individuo per capirne di più.
La risposta dovrà pur essere da qualche parte.
Primo obiettivo: eccola... Mi colpisce immediatamente!
Una donna urla al telefono, la faccia è gonfia e rossa, dalla bocca le escono parole cariche di rabbia e rancore, forse l'ennesima mancanza del fidanzato, forse una torto fattole sul lavoro, chiude la telefonata, le mani tremanti le fanno cadere il cellulare, lo raccoglie e si guarda in giro.
L'insegna di un grande negozio la colpisce e decide di entrare!
Attendo con ansia il suo ritorno...
Secondo obiettivo: la vicenda si svolge nel tavolo di fianco a me.
Una combricola di ragazzi sui sedici anni sembra scherzare allegramente sulle sorelle altrui... Un modo stupido per divertirsi... Il mio sguardo si sofferma sull'unico ragazzo che non mostra segni di felicità.
Sono attenta al punto da notare il passaggio, quasi invisibile, dalle mani dell'amico a lui, di una cartina.
Si alza, accende lo spinello preparato con cura e va dietro l'angolo del bar.
Aspetto con ansia il suo ritorno...
Sono le diciassette, mi concedo un'ultima preda.
Terzo obiettivo: appoggiato ad una colonna del centro, un signore anziano, sui settant'anni consuma la sua sigaretta fino all'ultimo tiro.
Porta sul volto i segni di una vita vissuta fino in fondo.
Dov'è la sua dolce metà? forse è vedovo?
Ha un'aria stanca... Spegne il mozzicone ed entra in una vecchia libreria, cerco di sbirciare all'interno.
Tutti lo salutano affettuosamente.
Lo conoscono? Sarà un cliente abituale.
Aspetto con ansia il suo ritorno...
Passano i minuti e vedo tornare le mie tre vittime.
La donna ha le mani occupate da pacchetti di vestiti accompagnati da un sorriso splendido disegnato sulla faccia... sembra più bella.
Ecco il ragazzo... Gli occhi sono gonfi e rossi, ma si siede al tavolo e ride, finalmente ride.
L'uomo tiene sottobraccio due libri e un terzo lo coinvolgeva in un'intensa lettura.
è fantastico, i segni della vecchiaia, quei segni che prima gli facevano compagnia, sono ora scomparsi.
Pago, mi metto l'ipod nelle orecchie e mi avvio verso la metro.
Questa giornata mi ha insegnato qualcosa, da quella più sbagliata a quella più giusta, dalla più piacevole alla meno, ognuno ha la sua medicina, che gli permette di vivere anche solo un minuto sull'intera giornata di felicità.
Io? Non l'ho ancora trovata ma... sorrido e vado a casa.

Commento

Una parabola ambientata nell'attualità del nostro vivere quotidiano.

Una ricerca di valore; si dice, rara nei giovani.

Però lo shopping della sciùretta “fa girare l'economia”; anche lo spinello dell'adolescente, quella sommersa.

Le medicine hanno sempre controindicazioni; meglio non averne bisogno.
Sorridi della vita. Forse il sorriso è più efficace di qualunque medicina.

Ira di cena

di Piano Girl

La cena in casa mia è un momento tristissimo: da sempre. Questo perché è l'unico momento della giornata durante il quale tutti i membri della famiglia si riuniscono.
L'orario della cena varia ed è generalmente compreso tra le sette e trenta e le otto e trenta.
Io cerco di evitare ogni possibile contatto umano con quei due quindi entro in cucina solo quando so che è pronto. Sono molto di compagnia...
Quando entro in cucina la scena è questa:
mia madre è rivolta ai fornelli e, nove volte su dieci, impugna nella mano sinistra una tazza azzurra di medie dimensioni contenente birra di marca sconosciuta.
Alle spalle di mia madre vedo il tavolo apparecchiato e le consuete e irritanti bricioline di pane che il mio santissimo padre sta voracemente ingurgitando.
Mio padre si presenta immancabilmente in mutande bianche e camicia. Il colore della camicia è irrelevante poiché tanto subirà numerose variazioni durante lo svolgimento della cena.
All'entrata della cucina si percepisce nell'aria quella sgradevole sensazione di tensione... L'aria è accesa. L'unica voce che mi accoglie è quella della tv.
Mi siedo e vedo mia madre intenta a trafficare con il colapasta. Si avvicina al tavolo per distribuire il rancio. Io getto uno sguardo distratto verso mio padre che, tanto per cambiare, ha la bocca piena di pane.
Come mi fa incazzare poi, quando mia madre (con aria schifata) gli riempie il piatto e dice: “No, no, dammene di meno, è troppa, me ne hai data tantissima!” e poi lo scopro a mangiare in piena notte la pasta, i gelati, i miei, quelli cioè comprati per me! Lo yogurt e quant'altro il frigo contiene.
In ogni caso a questo punto scoppia la lite. Uno dei due dice o fa la cosa sbagliata (che può essere mettere il gomito sul tavolo o guardare la tv o qalunque altra cosa. La lite non scoppia per un motivo. Scoppia perché deve scoppiare, è ora...
Io, a veder mio padre, ho anche perso l'appetito. Ingurgito gli ultimi bocconi, sgranocchio una manciata di magnesia ed evado dalla cucina nel minor tempo possibile per poi farmi rivedere solo a tarda notte per consumare limoni e zucchero...
Quando invece la cena si svolge in due è forse ancora più triste perché, essendo da soli, l'altro non può che parlar con me e questo mi urta perché in queste situazioni “l'altro” è sempre mio padre e quando “parla”, parla solo di mia madre.
Stasera ad esempio. Mio madre è dal suo gruppo ed io sono tornata a casa da scuola guida alle otto e un quarto. Mio padre mi saluta. Entro in cucina e vedo che ha già finito di mangiare. Mi scaldo i ravioli al mitico microonde e inizio a mangiare. Accendo la tv per sentire un po' di notizie del tg. Ovviamente lui, con in bocca una delle mie merendine, inizia a parlare (a bocca piena...). E mi fa i discorsi su mia madre. Io, porca di quella miseria, stavo solo cercando di ascoltare una cavolo di notizia al telegiornale.
Proprio lui che, quando io ero piccina, mi zittiva gridando quando io entravo in cucina entusiasta per qualcosa, perché stava ascoltando le notizie. Io avevo paura, mi sentivo in colpa; andavo in camera e piangevo. Poi succedeva che arrivava mia madre e iniziava a fare il monologo su quanto lui fosse stronzo dopodiché usciva dicendo che sarebbe tornata subito a vedere la cosa per la quale io ero entusiasta; dopo circa un'oretta o forse di più io mi rassegnavo all'idea che si fosse dimenticata per l'ennesima volta di tornare per vedere quello che volevo mostrare a tutta la famiglia ore prima.

Tg: una volta che voglio sapere cosa cavolo ha fatto il papa o cos'è successo a Torino con la banda di rapinatori, lui parla. Per di più si accorge che io voglio seguire il telegiornale quindi o alza la voce o, è capitato, prende il telecomando e, guardandomi negli occhi, spegne il televisore. Veramente non so da dove prendo la forza di non spaccargli il piatto in testa.
Poi esce con affermazioni tipo:” Sono preoccupato per la mamma... lei non ce la fa con i soldi...”.Gli ho anche detto, con tutta la calma, la gentilezza e l'autocontrollo di cui disponevo, che mi dava alquanto fastidio il fatto che ogni occasione per lui era buona per parlare di mia madre quando lei non c'era.
A quel punto mi ha accusata di menefreghismo, ha farfugliato qualcosa sulla nostra famiglia di merda e, dopo aver sbattuto la sedia sotto il tavolo, è uscito di gran carriera dalla cucina.
Com'è possibile che io mi senta in colpa?
Ecco perché ogni volta che quell'uomo mette piede in casa e mi rivolge la parola io sento di non sopportarlo più. Ogni volta che mi tocca le spalle sento tutti i muscoli fremere e mi spunta un ghigno di ribrezzo sulla faccia ( tanto non mi vede in faccia).

Preferisco cenare da sola e perdere a Spider o piangere, per una volta di felicità, a casa tua. Sono stata bene quel sabato.

Commento

Scene da una normale famiglia. Padri e figli. Un conflitto antico.

Una cruda ed efficace istantanea della famiglia odierna; di forte impatto.
Una lettura che, in un genitore, scatena immediamente una reazione.
Un flash emblematico sulle difficoltà che l'istituzione della famiglia sta attraversando nel mondo occidentale; ci sono paesi più avanti del nostro nel processo di disfacimento.

Al di là delle mutande e della bocca piena - ma sempre i padri hanno questi comportamenti? i figli mai? - il tema portante è l'incomprensione; è la difficoltà di dialogo fra i genitori; è l'assenza di comunicazione da parte della figlia.

La convivenza per tempi lunghi è difficile; per questo motivo esistono il divorzio per i coniugi e l'uscita da casa per i figli. E' così che si creano nuove famiglie.

Da giovani la tavola è costrizione, sopravvivenza, necessità; poi un po' per volta si trasforma in piacere, gastronomico e conviviale.

Guardare la TV a tavola non aiuta la conversazione; è anche scomodo; meglio la radio.
Se poi anche i figli guardano la TV e non facilitano, anzi rifiutano, un rapporto, vendicandosi del passato . . . bé, non c'è salvezza per la famiglia.

I figli fanno parte della famiglia; prima inconsapevolmente; dall'età della ragione (ciascuno ha la sua) consapevolmente e con tutte le loro responsabilità.

I padri non sono tutti belli, biondi e con gli occhi azzurri; ma neanche tutti i figli lo sono.
Ognuno ha le sue colpe. I padri di più, avendo scelto (è sempre vero?) di avere un figlio. I figli di meno, non avendo potuto scegliere. Sì, ma questo alibi non è per sempre.

Attenzione ai figli dei figli, che un giorno scriveranno le stesse cose.
I padri lo sanno.

L'angelo

di Martha Canegrati

Ogni volta lo stesso grande dolore che ancora oggi ricorre tutti i giorni...
Ho sempre provato un amore forte per gli angeli, fin da piccola ci ho creduto e da cinque anni ancora di più...
Sei sempre stato un punto di riferimento per me, un grande amico, un grande esempio, anche grazie ai tuoi errori...
Tutti i giorni eravamo insieme, io e te, da tutta la vita, giocavamo e scherzavamo in ogni momento, tu ti offendevi se non ti consideravo... Poi tutto cambiò, così, da un giorno all'altro non ti vidi più... Mai più...
Eri andato via, mi avevi abbandonato come qualcun'altro aveva già fatto prima... Eppure avevi detto che non l'avresti mai fatto!? Mi hai tradito, ero arrabbiata con te e con tutto il mondo... Come hai potuto fare questo a me? Alla tua tata?
Con quel gesto mi feristi dentro nel cuore e nell'anima: non pensi che avessi già sofferto abbastanza in quei miei pochi anni?
Il dolore era così grande, il vuoto così immenso, ma non riuscivo ad odiarti e il mio cuore spezzato ti raggiunge sempre grazie a un pensiero, a un gesto, togliendomi il respiro.
... Mi sentivo male... Troppo male...Così tanto che avrei voluto in molti attimi, riuscire a smettere di pensarti, di amarti, perfino di vivere quella che ormai non reputavo più vita, ma non potevo o forse eri tu a non volerlo...
... Tu sei dentro di me!
Un amore così grande non si può scordare, ricordo ogni giorno, ogni secondo della vita trascorsa insieme fino all'ultimo... Il trenta giugno 2002... Di quella mattina di domenica rammento tutte le tue parole, il tuo sguardo triste, il tuo odore e quel forte abbraccio pieno di commozione poi, mentre correvo per prendere quel tram che mi avrebbe portato a casa, mi girai e vidi che stavi piangendo... non avevo mai visto i tuoi occhi lacrimare... come per sintonia dei nostri cuori i miei occhi luccicarono e mi resi conto che una cascata di piccole goccioline morbide stavano solcando il mio viso: ma perché?
Forse, dentro di me, già sapevo che quella sarebbe stata l'ultima volta che i nostri sguardi si sarebbero toccati e che ti avrei potuto abbracciare.
Quel dodici luglio 2002 la mia vita si stravolse: avrei voluto raggiungerti in ogni modo e con ogni mezzo possibile, ma ciò non mi capitò mai...
Ancora oggi non so cosa sarebbe stato meglio fare, l'unica cosa che rimarrà sempre certa è che sei stato l'unico a farmi capire cosa vuol dire amare, ma amare veramente, amare dal profondo, amare con tutto se stesso...
Oggi tu sei il mio angelo custode, un angelo meraviglioso che mi sta sempre accanto come quando eri in vita.
Grazie per essere passato nella mia vita illuminandola, addolcendola e rendendola migliore...
Grazie per i tuoi consigli, grazie per essere stato il mio papà

Commento

Allora l'equilibrio esiste! La legge di compensazione naturale funziona!

Estremo opposto. Struggente.

Da padre: ogni padre vorrebbe pensare che un giorno, lontano, i suoi figli lo ricorderanno così.

Storia tratta da “San Martino” di Giosuè Carducci

di Marco Carnavale

In quella serata d'autunno iniziò a piovigginare, gli spogli ed ispidi colli sembravano tirare un sospiro di sollievo nel sentire la fredda e fitta pioggia posarsi sui suoi aridi suoli rendendoli morbidi come la tempera secca lasciata all'aria, si trasforma, a contatto con l'acqua, in soffice crema colorata.
Finita la breve ed intensa piovigginata, seguì l'arrivo della nebbia che rese il paesaggio ancora più tetro ed oscuro; ma per chi era abituato a ciò, trovava, tra i suoi rovi immersi nell'argentea coltre, una sensazione di sicurezza, come se gli intricati arbusti fossero delle braccia materne in cui niente è più pauroso ma solo la tranquillità e la quiete ti riempiono l'animo.
Così si sentiva il cacciatore appoggiato all'uscio dell'osteria del paese; ossia una piccola e sudicia bettola che era per gli abitanti del luogo un rifugio accogliente per ogni occasione: una serata tra amici, una partita a carte o freccette, un rifugio per coloro la cui scarsa fedeltà era stata scoperta dalla moglie, la meta quotidiana per gli avvinazzati o per chi avesse semplicemente fame.
Il cacciatore si mise ad osservare l'interno della sua taverna e si rallegrò nel constatare che essa era sempre la stessa, dandogli una sensazione di sicurezza data dalla ripetizione e quotidianità della sua visione: la calda ed avvolgente luce proveniente dal camino illuminava i tavoli centrati occupati dai soliti signorotti del luogo muniti di carte e di denari da spendere in vestiti, donne o in ulteriori scommesse, erano sempre in tre con le loro alte tube, grandi baffi scuri ed i calici sempre pronti per falsi brindisi di stima nei confronti dell'altro, infatti il motivo degli incontri e delle sfide a carte non era semplice gaudio ma era di consolidare la supremazia di uno nei confronti dell'altro.
A destra del camino erano sempre appostati i contadini che, finito il duro e sfiancante lavoro nei campi, si divertivano a giocare tutti insieme a freccette mettendo in palio dei tristi ed umili tozzi di pane, ma la felicità ed il divertimento del gioco venivano sovrastati, come un arbusto veniva piegato da un fiume in piena, dal sentimento agonistico finendo molto spesso in risse e zuffe per rivendicare la vincita di un pugno di pane secco. Le risse rallegravano la serata di tutti ma non quella delle “due torri”, due amici calzolai seduti vicino all'entrata che passavano le serate a sfidarsi a scacchi, da qui i soprannomi; i quali venivano costretti a smettere di giocare ogni sera a causa di qualche oggetto o persona che finiva sulla scacchiera, facendo volare le pedine in ogni angolo dell'osteria.
L'occhio del cacciatore si posò sul bancone dell'osteria che trasudava tristezza e depressione, si vedevano in fila, come cipressi neri piantati sul viale di un isolato cimitero in rovina, uomini la cui mente era annebbiata dai vapori e dalle esalazioni del vino; le tozze mani rosse stringevano con avidità i calici sempre pieni di vino, la bottiglia della “sacra” bevanda alcolica era controllata da occhi rossi con le palpebre pesanti, sotto di essi grossi nasi violacei in mezzo a due tonde e paffute guance paonazze, il labbro cadente con la goccia di vino aggrappata ad esso per non cadere nel vuoto era la normalità e i capelli erano perennemente in disordine.
La vista di quest'ultima zona della bettola fece venir voglia al cacciatore di uscire, si accese una sigaretta ed andò nel cortile, rimase stupito, la nebbia era fittissima ed il cortile era illuminato solo dal falò sul quale girava uno splendido spiedo di cinghiale; il cacciatore si sedette a mirare il braciere scoppiettante che emanava un tepore soave e gli faceva tornare pian piano, con dolcezza, la sensibilità alle dita, come una gemma si sgela con l'arrivo dei primi soli di marzo; lo spiedo aveva una sottile crosticina dorata sulla sommità, mentre sulla parte più vicino alla fiamma la carne era più bruna, il grasso con il calore si scioglieva e a contatto con la brace provocava un piccolo scoppio che esalava l'inconfondibile odore di selvaggina arrostita.
Il cacciatore fu sorpreso da un altro odore, portato dal maestrale, che lo interessò: quella della vendemmia e della fermentazione dell'uva bruna in vecchi tini di legno.
La fitta nebbia e l'odore del dolce frutto diede spazio all'immaginazione del cacciatore, il quale si immaginò una grande cantina di pietra con uno spesso portone di legno, sul pavimento acini d'uva incastrati nelle pieghe dei sassi, più avanti due file di grandi botti di legno antico piene di vino che, mentre camminava nel loro regno, è come se lo osservassero con facce austere e sagge, facendolo sentire piccolo ed immaturo per quel luogo; in fondo i tini con l'uva a fermentare, l'odoro ubriacante era sempre più forte tanto che raggiunse il cervello ed ingannò la mente, mentre il profondo mosto violaceo gli sembrava uno specchio nel quale era riflesso il cielo al vespero invernale; ed in questo magico mondo il cacciatore si perse.
Si risvegliò dal suo viaggio di fantasia a causa del rumore provocato dal volo di alcuni uccelli che gli ricordarono ciò che doveva fare, così spense la sigaretta, imbracciò il fucile e si incamminò per la foresta mentre il tenue chiarore dell'alba accompagnava il suo cammino ed il suo fantasticare

Commento

Un arrangiamento cinematografico della canzonetta di Carducci.
Una descrizione immaginifica del set.

Una carrellata che dà corpo a una realtà umana appena accennata nella poesia; poesia che, in contrapposizione alla malinconia del paesaggio e alla forza della natura, tratteggia la vitalità e l'allegria del borgo.

Chissà se anche nel ricordo di Carducci, l'osteria era così viva e colorita.

La quiete dopo la tempesta

di Claudio Darman

Finalmente la tempesta è passata, la vista del cielo cupo e scuro mi rattristava ed il rombo del tuono mi spaventava, ma finalmente tutto è passato. Affacciandomi alla finestra vedo i passeri volare in cielo e odo il loro allegro cinguettio che mi rincuora, in cortile noto la gallina, che uscendo dal pollaio, chiama a raccolta i suoi pulcini.
Guardo in alto e scorgo il sole farsi strada tra le nuvole grigie.
Osservo la montagna tutta illuminata, il fiume che scorre nella valle e mi rallegro.
Il villeggio si rianima ed il vecchio artigiano esce dalla sua bottega con l'opera in mano sorridendo e canticchiando felice, nello stesso istante appare una ragazza che, frettolosamente, porta in casa il catino colmo di acqua piovana, segno del temporale appena passato.
Sento le grida dell'ortolano provenienti dalla via dietro l'angolo.
Le serve spalancano le imposte delle finestre come per invitare il sole ad entrarvi, i bimbi coi padri si affacciano ai balconi per ammirare il paesaggio che rinasce sotto la luce del sole. In lontananza sento il tintinnio dei campanelli e scorgo una carrozza riprendere il suo viaggio poiché il temporale è passato.

Commento

Un riassunto della metà più allegra e impressionistica della poesia di Leopardi.

Dopo la parte emozionale e contemplativa, Leopardi rallenta il ritmo dei versi e passa alla parte meditativa, pensando cupamente alla Vita; più difficile.

La macchina del tempo

di Michele Del Vecchio

la partenza

22...............22

capitain:
eleven, ten, nine, eight, seven, six, five, four, three, two, one

la mente:

io sono qui
nel mondo mio
fermati un attimo
e riprendi la mia verità
se c'è già

dolce marea....dolce marea
desiderio...desiderio
prendi il mio animo
e risvegli la mia identità
mentre va

e non so cosa dire, fare
questo mondo non ha mai pace

corro buio nel traguardo
perso nel mio giorno
chiuso nel mio mondo

corro spero che sia un sogno
salgo e poi riparto
nella mia macchina del tempo
e non so cosa dire e fare
questo mondo non ha mai pace.

Commento

La macchina del tempo è lo “stress della vita moderna”, come diceva Ernesto Calindri nell'ormai storico Carosello dell'amaro Cynar?

Quindi: il ritmo frenetico della vita quotidiana, obbligato da fattori esterni, in contrapposizione ai desideri, ai sogni, interni alla mente.

La dicotomia fra condizionamento esterno e natura interna confondono la mente.

Ma questo è il profilo psicologico del disattato sociale!
Cioé di ciascuno di noi. Di noi che viviamo in una dimensione sempre meno naturale e sempre più tesa alla ricerca continua del più nuovo, del più avanti, del più.

Una vita tirata come un elastico. Occhio che non si spezzi.

A SONG

di Guido Pavesi e Marco Peduzzi

Cammino per le strade grigie della mia città,
un giorno come tanti altri comincia.
Gente lavora e vive,
illusa da un dio chiamato tv,
imperatore in questo secondo medioevo.

(Rit.)
Nella mia mente una canzone,
mi porta via da questa desolazione,
in un mondo nuovo dove c'è posto per l'uomo.
Una canzone,
musica e parole,
per ricominciare a sognare,
come un tempo si sapeva fare.

Non più bambini nei parchi a giocare,
davanti ad una scatola,
ad imparare a non pensare,
schiavi impotenti del domani
nel medioevo di oggi.

(Rit.)
Nella mia mente una canzone,
mi porta via da questa desolazione,
in un mondo nuovo dove c'è posto per l'uomo.
Una canzone,
musica e parole,
per ricominciare a sognare,
come un tempo si sapeva fare.

(Rit.) x 2
Nella mia mente una canzone,
mi porta via da questa desolazione,
in un mondo nuovo dove c'è posto per l'uomo.
Una canzone,
musica e parole,
per ricominciare a sognare,
come un tempo si sapeva fare.

Commento

Un sognatore.

Il sogno, la fantasia, la musica invece della comoda scatola che non fa pensare.
Un posto per il bambino, e per l'uomo, che non sia il divano davanti alla TV.

Una speranza senza futuro: anche nelle favelas ci sono le parabole satellitari.
Purtroppo!
O per fortuna! Viviamo nel mondo della comunicazione. Qualcuno vorrebbe vivere su un'isolotto deserto?
E' facile scegliere fra informazione e spazzatura; meno facile discriminare fra informazione e propaganda.
Pare però che ci piacciano più la spazzatura e il condizionamento; e questo ci passano.

Non pensare è desolantemente comodo.

Una curiosità: ma chi è SONG a cui è dedicata la canzone?


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